Il santuario di Montevergine è un complesso monastico mariano di Mercogliano, situato nella frazione di Montevergine: è monumento nazionale. L’abbazia territoriale di Montevergine è una della sei abbazie territoriali italiane. Al suo interno viene venerato il quadro della Madonna di Montevergine e si stima che ogni anno sia visitato da circa un milione e mezzo di pellegrini[1].La storia del santuario di Montevergine è strettamente legata alla figura di Guglielmo da Vercelli, un monaco eremita vissuto tra l’XI e il XII secolo, attratto dai pellegrinaggi nei luoghi della cristianità[2]. Rientrato in Italia dopo un lungo viaggio a Santiago di Compostela, decise di intraprendere un nuovo pellegrinaggio verso Gerusalemme ed al fine di prepararsi spiritualmente si rifugiò presso il monte Serico, ad Atella, dove è protagonista della guarigione di un cieco[3]. Ripreso il viaggio verso la terra santa, giunge a Ginosa, incontrandosi con Giovanni da Matera, il quale gli consiglia di rinunciare al pellegrinaggio e di operare per il servizio divino nelle terre d’Occidente: Guglielmo rifiuta i consigli del santo e prosegue per il suo cammino fino a che non viene malmenato da un gruppo di briganti[4]. Ricordatosi delle parole di Giovanni e dopo una lunga riflessione spirituale, comprende la nuova strada da seguire, ossia quella di ritirarsi in solitudine e dedicarsi alla meditazione[2]. Giunto in Irpinia, sente che la volontà di Dio è quella di farlo risiedere su un monte, oggi conosciuto come Partenio, ad una altitudine di oltre mille metri[5]. Come ricordato in uno scritto si dice che:
«Su quell’alta montagna, a 1270 metri sul mare, in una piccola conca creata dall’incontro di due opposti declivi di monti, si fa costruire una piccola cella, ed ivi per un anno rimane solo nella più assoluta solitudine, tutto dedito alla più alta contemplazione, a contatto con orsi e con lupi, che però non osano recargli alcun male[3].»
Il campanile
Con il passare del tempo la fama di santità di Guglielmo aumentò sempre più, tanto che sul monte, spontaneamente, iniziarono ad arrivare uomini desiderosi di abbracciare uno stile di vita dedito alla preghiera e alla solitudine[4]: in poco tempo numerose celle, fatte per lo più con fango e malta, ospitarono numerosi monaci. Allo stesso tempo si decise anche la costruzione di una chiesa, consacrata nel 1126, dedicata alla Madonna, ma, contrariamente a quanto è spesso raccontato, non si verificò alcuna apparizione[2]: Guglielmo seguì soltanto la sua profonda devozione nei confronti della Vergine Maria. Ben presto i monaci di Montevergine si riunirono in una congregazione detta Verginiana[2], riconosciuta ufficialmente l’8 agosto 1879 da papa Leone XIII: nel corso dei secoli la congrega ha svolto servizio sia di evangelizzazione, utilizzando addirittura il dialetto locale pur di arrivare ai ceti più bassi della società, sia di cura dei malati, con la costruzione di numerosi nosocomi in Campania e nel resto del sud Italia. Dopo la morte di San Guglielmo, nel 1142[4], il santuario raggiunse il periodo di massimo splendore tra il XII ed il XIV secolo, quando si arricchì di numerose opere d’arte e si espanse notevolmente grazie alle offerte di feudatari, papi e re[2]: fu in questo periodo che venne donato il dipinto della Madonna, oggi venerato nella basilica cattedrale, ma anche numerose reliquie, tra cui le ossa di San Gennaro, che furono poi trasferite nel duomo di Napoli nel 1497[1].
Tra il 1378 ed il 1588 il santuario di Montevergine visse una profonda crisi sia dal punto di vista spirituale sia economico, accentuata da una commenda del 1430, che assegnava ad uomini senza alcun interesse cristiano le offerte deposte per l’abbazia. Dal 1588 fino all’inizio del XIX secolo la vita monastica scorse abbastanza tranquilla, anche se nel 1611 la foresteria fu gravemente danneggiata da un incendio e nel 1629 si assistette al crollo della navata centrale della chiesa[2]; dal 1807, anno in cui il corpo di San Guglielmo fu traslato dall’abbazia del Goleto a Sant’Angelo dei Lombardi a Montevergine, al 1861 un nuovo periodo di crisi mise seriamente a rischio la vita della congregazione stessa: il 28 maggio 1868 il consiglio di stato sancì che le abbazie non dovessero essere soggette ad alcun tipo di soppressione economica e quindi tutti i beni confiscati negli anni precedenti vennero nuovamente restituiti[2]; nello stesso anno il santuario fu dichiarato monumento nazionale[6]